venerdì 11 febbraio 2011

Le gambe di Sonia - Capitolo 2: Prospettive (parte 4)

Mentre realizzavo tutto questo, cercavo comunque di dissimulare questa consapevolezza, continuando a cercare di sottolineare come entrambi avessimo da perderci, e che quindi non era il caso di abbaiarci addosso. Potevamo stingerci la mano, io avrei mantenuto il segreto, e lei mi avrebbe fatto avere il posto di lavoro nello studio in cui lavorava la cugina.

“Chissà”, mi interruppe a un certo punto, “forse hai ragione tu, o forse no. Ma vedi... ci sono due cose da dire. La prima è: tu sei disposto a scoprire chi ha veramente di più da perderci? Sei disposto a rischiare?”
A quel punto avrei dovuto evidentemente risponderle “E tu?”, ma era chiaro da come si comportava che mi avrebbe risposto di sì, quindi tanto valeva rimanere in silenzio e aspettare che continuasse.
“Ma la cosa più importante è un'altra.”, aggiunse rimettendosi in piedi e facendo due passo verso di me e porgendomi la mano. “Alzati!”
“Perchè?”, le chiesi mostrando la mia poca voglia di assecondarla.
“Perchè così ti mostro la seconda cosa che conta in questa storia.”
Mi alzai di malavoglia, scostando la sua mano, e appena fui in piedi di fronte a lei le chiesi cosa dovesse mostrarmi di così importante.
Sonia a quel punto mostrò di nuovo quel sorriso fastidioso che le avevo visto dipingersi sul volto gia' tre o quattro volte e all'improvviso allungò una mano verso le mie cosce afferrandomi le palle e tirandomi verso di sé.
“La cosa che conta”, disse sottovoce continuando a stringere, “alla fine è questa: se io ti strizzo le palle tu cosa fai? Hai il coraggio di colpirmi per divincolarti o mi supplichi di lasciarti andare?”

Sonia non stringeva forte, ma quella stretta rivitalizzava il dolore provato qualche ora prima, come se qualcosa nel mio ventre si stesse aggrovigliando su se stesso. Il dolore catturò la mia attenzione, distogliendola dalle sue parole.

“Allora che fai?”, mi incalzò lei, mentre io non riuscivo a fare altro che portarmi le mani fra le cosce, senza che questo potesse avere alcun effetto sulla sua presa.
Sonia sorrise di nuovo, guardandomi con piglio interrogativo, mentre io riuscivo solo a stringere i denti e cercare di respirare.
“Non fai niente, vero?”, mi disse mentre mi tirava leggermente verso di sé.
Cercava il mio sguardo, ma io lo evitavo accuratamente per non sentirmi ancora più umiliato.
Spinse la mano verso il basso, allontanandomi, poi la ritirò in alto, sempre stringendo, e di nuovo mi allontanò tirando verso il basso, mostrando divertita soddisfazione.
“Come pensavo”, commentò infine lasciando la presa.

Nessun commento:

Posta un commento