lunedì 1 novembre 2010

Le gambe di Sonia - Capitolo 1: La riunione (parte 4)

Mentre Sonia mi aggiornava su tutto questo il computer si era avviato e avevo letto il memo aziendale che informava della riunione con una delle vicepresidenti per le 10:00 della mattina stessa. Mentre io la guardavo perplesso per quello che mi stava chiedendo, Sonia continuava a dirmi sorridendo che era la soluzione migliore per tutti: in fondo lei era a due passi da una promozione, mentre io stavo comunque già cercando un altro lavoro.

Che io stessi cercando un altro lavoro era vero. Avevo già' superato due colloqui per un posto in un importante studio grafico che mi avrebbe fatto guadagnare un po' di meno all'inizio, ma che di contro avrebbe gratificato molto di più le mie ambizioni in campo creativo.

Sonia intanto si era seduta di fronte alla mia scrivania; teneva le gambe accavallate, la destra sulla sinistra, col piede rivolto verso il basso. Non aveva i piedi piccoli, e il collo del piede tenuto in quel modo dava sembrava allungare le sue gambe che effettivamente non erano niente male.

“Quindi ecco”, concluse dopo avermi spiegato il guaio, “se ti prendi tu la colpa non ci rimetti molto, io invece son a un passo dalla promozione...”

Io la ascoltavo chiedendomi da cosa presumesse che io volessi farle un favore del genere e rischiare di perdere il posto di lavoro. “Avrò anche superato già due colloqui e mi manca solo il terzo finale”, obiettai con una punta di sarcasmo, “ma non credo che essere licenziato per un errore del genere giovi al mio curriculum. E comunque, anche se ci conosciamo fin da ragazzini, in tutta franchezza non c'è fra di noi questa grande amicizia da giustificare un favore del genere, scusa se te lo dico.”

“Non sono ancora arrivata alla fine”, aggiunse senza scomporsi. Aveva in faccia lo stesso insensato sorriso con cui era entrata nel mio ufficio, e mi chiedevo cosa mai di buono potesse aggiungere alla sua farneticante richiesta di favore.

“Cosa avresti da aggiungere?”, le chiesi col tono di voce di chi non si aspetta nulla di interessante.
“5000 euro in caso tu venissi licenziato, e... Michela!”
Sorrise soddisfatta mentre pronunciava il nome Michela, e mi guardò come se io dovessi intuire qualcosa. A me quel nome però sembrava non dire nulla, quindi continuai a guardarla come se non mi stesse dicendo nulla di interessante.

“Michela”, riprese Sonia, “è la ragazza con cui dovrai fare il colloquio finale in quello studio grafico che ti interessa tanto... ed è mia cugina”, concluse lasciandomi intuire che avrei avuto un trattamento privilegiato. Si trattava dunque di perdere un lavoro in cambio della quasi certezza di un altro lavoro, che per me era migliore, ma che probabilmente sarei riuscito ad avere egualmente con le mie forze. Inoltre un licenziamento sarebbe stato comunque una macchia sul mio curriculum, e siccome nella vita non si sa mai... ecco, non è che comunque mi garbasse molto questo tipo di scambio. E poi chi mi assicurava che tale Michela fosse davvero cugina di Sonia e che, anche quando, fosse davvero disposta a favorirmi nel colloquio finale?
Esposi queste mie perplessità a Sonia, la quale mi propose di chiamare lo studio grafico, chiedere di Michela e lasciare che ci parlasse. Benché fossi ancora perplesso e molto poco convinto, chiamai lo studio grafico, chiesi di Michela e feci parlare Sonia, in viva voce.
Sonia nel frattempo si era alzata e mentre componevo il numero si era seduta sulla mia scrivania, accavallando le gambe. Ciò mi lasciò sempre più perplesso, aveva quasi l'aria di chi si sentiva sexy e usava il suo fascino su di me, ma ai miei occhi era tutto a metà fra il ridicolo e il fuori luogo.

“Ciao Michela, sono Sonia.”
“Ciao Sonia, sei lì con lui?”
“Sì, è qui: siamo in viva voce.”
“Ok, ascolta, non posso mettertelo nero su bianco, ovvio, ma se tu fai quel favore lì a mia cugina... il posto è praticamente tuo. Ora scappo che ho una riunione, in bocca al lupo per la vostra.”

Fu molto breve la telefonata, ma esauriente.
Io rimanevo comunque perplesso, stava succedendo tutto in poco tempo e in realtà, a parte la sostanza della situazione, l'idea di fare un favore a Sonia quasi mi infastidiva. O meglio, mi infastidiva il suo sorriso, quella sua aria da “amichevole complicità” come se facesse leva su un livello di confidenza fra me e lei che esisteva solo nella sua testa.
Mi alzai dalla scrivania, volevo allontanarmi anche fisicamente da lei, e le dissi che ci avrei pensato; in fondo la riunione era per le 10:00 e c'era ancora più di un'ora. Avevo bisogno di ragionarci su, anche perché comunque non era una decisione da poco.

“Ok!”, sorrise, “ti chiamo per le 9:30!”

Uscì dal mio ufficio tutto contenta, come se fosse sicura di avermi convinto.
Io presi l'accendino e le sigarette dal cassetto della scrivania e uscii in giardino per fumarci su.

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