lunedì 1 novembre 2010

Le gambe di Sonia - Capitolo 1: La riunione (parte 7)



“Prima che diciate qualcosa”, riprese la vicepresidentessa, “devo spiegarvi cosa succederà. Se tu ora mi dici che non hai fatto alcun errore io dovrò a chiedere a Sonia se per caso ti ha detto che i dati erano corretti senza aver ancora effettuato l'ultimo salvataggio sul database. In caso lei mi risponda di sì la cosa si chiuderebbe qui. Analogamente la cosa si chiude qui se tu mi dici che hai chiesto a Sonia conferma della correttezza dei dati sul database solo dopo aver già prelevato una versione dei file precedente al suo ultimo salvataggio. Se invece entrambi negate che l'errore sia stato vostro bisognerà chiamare dei tecnici esterni che verifichino tutti i backup-up eseguiti sul database e quelli del tuo computer, per confrontarli e stabilire chi e quando ha sbagliato. Tutto chiaro fin qui?”

A quel punto accadde qualcosa che per me era veramente inimmaginabile. Mentre Katya prendeva una pausa nel suo discorso per guardarci negli occhi, Sonia si sfilò una scarpa sotto il tavolo e iniziò ad accarezzarmi la gamba destra, salendo dalla caviglia fino al ginocchio.
Questa cosa iniziò a mettermi in uno stato di profonda confusione. Già ero indeciso su cosa fare riguardo alla riunione, in più, di fronte a quello che stava facendo Sonia, ero indeciso se essere più infastidito, dato lo scarsissimo fascino che Sonia poteva esercitare su di me, o sorpreso dal fatto che una ragazza come lei stesse tentando una mossa del genere con me.

Non so di preciso che espressione avessi, ma doveva essere un'espressione indubbiamente stranita. Guardai per un attimo con sorpresa Sonia, che però aveva lo sguardo rivolto altrove, poi rivolsi di nuovo lo sguardo verso Katya, notando che continuava a guardarmi. Doveva aver colto quel qualcosa di poco naturale e poco rilassato che iniziava ad esserci nel mio atteggiamento, e immagino che questo la indusse a credere che ero io quello che temeva di essere stato ormai scoperto.
Questa rapida catena di pensieri stava inoltre sviluppandosi troppo in fretta, rendendomi sempre confuso, e la confusione aumentò quando mi resi conto che mentre pensavo a tutto questo il piede di Sonia era già arrivato fra le mie cosce. La pianta del piede calda mi stava accarezzando il pene, che ormai aveva raggiunto una debole erezione. L'idea che una donna che non trovavo per nulla sexy, addirittura fastidiosa, e che in un qualsiasi altro momento avrei respinto vigorosamente, stesse facendo quel che stava facendo mi irritava, e ancor più mi infastidiva il fatto che fosse riuscita ad arrivare fin lì, iniziandomi a far sentire un senso di debolezza, che mi confondeva ulteriormente e paralizzava.

Katya riprese a parlare, ma io non riuscivo ad essere concentrato sulle sue parole. Disse qualcosa riguardo al fatto che mi era stata lasciata una responsabilità per cui non ero pagato, che ne avrebbe tenuto conto e che sarebbe stata benevola nelle conclusioni della sua relazione. Credo che accennò anche al fatto che le era giunta voce che mi stavo guardando intorno, e che avrei potuto dare dimissioni spontanee una volta trovato un nuovo lavoro.

A meta' di questo discorso sentii il piede di Sonia scendere più in basso, premere con le dita dei piedi contro la base del pene e poi spingere verso il basso, schiacciandomi le palle.
Katya incalzava con le sue rassicurazioni mentre Sonia continuava a premere e muovere le dita spostando la pressione da una parte e dall'altra. Io mio stavo irrigidendo, diventavo rosso e non riuscivo a guardare Katya negli occhi. Tenevo lo sguardo basso e ogni volta che alzavo lo sguardo verso Sonia, lei mi stava guardando negli occhi e aumentava leggermente la pressione abbozzando un sorriso compiaciuto.

“Ok, ok...”, dissi a un certo punto guardando Sonia nell'evidente intento di farla smettere.
Sonia però spinse ancora più forte, facendomi intendere chiaramente che non intendeva mollare la presa finché non fossi stato più esplicito davanti a Katya.

Cercavo di dissimulare il dolore mentre confessavo a Katya di aver chiesto conferma sui dati a Sonia di martedì, dicendole che avrei finito entro sera, a lasciandole quindi intendere che mercoledì poteva continuare a lavorare sul database senza preoccuparsi di me. Mercoledì mattina ci eravamo anche visti e non le avevo detto che poi i dati non li avevo ancora prelevati, quindi lei avrebbe potuto lavorare tranquillamente sui file, spostandoli e rinominandoli come voleva. Io poi avevo preso i dati al mercoledì verso l'ora di pranzo e non le avevo chiesto successiva conferma.

Dopo aver sentito quello che avevo da dire, Katya si girò verso Sonia chiedendole conferma di quanto avevo detto. Sonia era finalmente rilassata in viso, e aveva un sorriso di cui Katya non avrebbe mai immaginato il motivo. Sonia rimase qualche attimo in silenzio, fingendo di riguardare i suoi appunti; rigirò con insistenza le dita dei piedi fra le mie palle causandomi l'ultimo sussulto di dolore prima di sorridere e confermare a Katya la mia versione.
Feci un sospiro di sollievo, che Katya dovette interpretare come il sollievo del colpevole che si toglie fintamente un peso dallo stomaco. Io ero in uno stato confusionale; Sonia mi aveva fatto sentire debole, soprattutto per il fatto che mi sarei anche potuto aspettare di subire qualcosa del genere da una donna che reputavo affascinante. Il fatto che invece era stata proprio lei a farmi questo, una donna insicura, debole e per nulla affascinante, mi faceva sentire doppiamente debole.

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Il secondo capitolo online a partire dal 15 gennaio

Le gambe di Sonia - Capitolo 1: La riunione (parte 6)

Alle 9:50 entrai nella cosiddetta Sala Rossa, il cui nome derivava dal colore delle sedie, con il portatile su cui avevo caricato il backup del mio lavoro e i documenti del briefing riguardante la presentazione incriminata.
Erano già presenti due sistemisti, Sonia, altri due colleghi della Ricerca e Sviluppo e una delle direttrici del marketing. Sonia chiacchierava tranquillamente con i suoi due colleghi, e questo per me era un sollievo, visto che temevo iniziasse ad assillarmi anche prima della riunione. Non mi gettò nemmeno uno sguardo, ed era un comportamento comprensibile, specialmente se pensava che io l'avrei coperta.

Io in verità non avevo ancora deciso nulla. Aspettavo di vedere come sarebbe andata la riunione, e onestamente preferivo rinunciare al lavoro presso lo studio grafico in cui lavorava la cugina di Sonia, aspettando un'altra opportunità soddisfacente, piuttosto che litigare con Tanya se avessi perso il posto attuale.

Alle 10:01 Katya entrò nella Sala Rossa. Katya era la vicepresidentessa di filiale che aveva convocato la riunione. Era una donna di 39 anni, riccia e mora, con una carnagione scura e dei lineamenti quasi caraibici. Era molto affascinante, sicura di sé e di lei si diceva fosse un buon capo; una di quelle persone che non ti risparmia quando deve metterti sotto, ma che non si risparmia nemmeno nel gratificare i dipendenti quando lo meritano.
Indossava un elegante tailleur blu scuro, con una vistosa ma sobria camicia rossa in tinta con le decoltè a punta che calzava. Un bel paio di scarpe, sicuramente costoso, di un rosso vivo, con tacco dodici a spillo in metallo.

“Sarò breve”, esordì senza nemmeno darci il tempo di sedere ,“sapete tutti perché siamo qui. Ora io uscirò da questa stanza e rientrerò fra dieci minuti. Se riuscite a dirmi voi chi ha sbagliato la facciamo breve, altrimenti dovrò fare io qualche domanda e, nel caso non salti fuori un colpevole, dovrò avviare una indagine aziendale con dei consulenti esterni; cosa che influirà ulteriormente sui premi di produzione, già messi a rischio da questo piccolo disguido”, e il piccolo era molto ironico.
“Non c'è bisogno”, continuò, “che vi ricordi come una indagine aziendale con dei consulenti esterni significhi anche perdite di tempo, che si tradurrà in richieste di straordinari non pagati e rischio che poi saltino fuori altri problemi di cui nessuno si è ancora accorta. Confido nel vostro buon senso.”
Sorrise, girò i tacchi e uscì dalla porta, chiudendola delicatamente.

Per dieci minuti ci guardammo tutti negli occhi. Era evidente che ciascuno aveva la sua personale idea di chi avesse combinato il guaio, e soprattutto la certezza di non aver commesso alcuno errore. Tutti eccetto Sonia, la quale però dissimulava sicurezza, probabilmente confidando nell'aiuto che mi aveva richiesto. Il silenzio generale era dovuto al fatto che chiunque avrebbe reputato antipatico puntare il dito verso qualcuno, col rischio poi però di dover ammettere che aveva sbagliato, col rischio di incrinare rapporti con colleghi di un diverso dipartimento con i quali però bisognava lavorare spesso gomito a gomito.

Katya rientrò dieci minuti esatti dopo essere uscita e, sempre con grande calma, rimase sulla porta limitandosi a chiedere: “Qualcuno ha qualcosa da dire? Se sì bene, altrimenti mi aspettate tutti fuori eccetto i due sistemisti.”

Qualche secondo di silenzio e Katya sorrise facendoci cenno di uscire.
Mentre aspettavamo fuori dalla porta ci limitavamo a guardarci un po' senza dire niente. La calma olimpica di Katya in effetti ci aveva spiazzato, lasciandoci un po' tutti preoccupati.

Quando quindici minuti dopo si aprì la porta cercammo qualche risposta negli sguardi dei due sistemisti, i quali ci fecero pero' chiaramente capire che non si era smosso niente. Katya si avvicinò alla porta, disse alla direttrice del marketing che poteva andare e fece entrare me e Sonia.
Ci accomodammo con Katya seduta a capotavola, io alla sua destra e Sonia di fronte a me, alla sua sinistra. Ci guardò per un po', rimanendo in silenzio mentre il suo sguardo oscillava a destra e a sinistra. Ogni tanto dava un'occhiata a dei fogli che teneva in una cartelletta e poi riprendeva a guardarci.

Io, onestamente, ero ancora indeciso sul da farsi, e avevo un'aria non insicura ma perplessa. Sonia sembrava che si stesse trattenendo dal tramare, ostentando qualche sorriso ogni volta che lo sguardo di Sonia si posava su di lei.

Quando Katya chiuse la cartelletta mi guardò e mi disse con molta tranquillità: “Dunque... da quello che mi hanno fatto vedere i sistemisti, la questione potrebbe essere molto semplice. Alle 16:09 di mercoledì Sonia ha fatto l'ultimo salvataggio dei dati sul server, e i dati sono quelli corretti. Da questo conseguono chiaramente tre ipotesi: la prima è che hai prelevato i dati prima di quell'orario e hai chiesto conferma a Sonia che i dati fossero giusti. E in questo caso il danno sarebbe colpa sua, se ti avesse detto di sì prima di controllare che i dati salvati nel database fossero davvero quelli corretti. La seconda ipotesi è che prima hai prelevato i dati e poi hai chiesto conferma a Sonia. Lei ti ha risposta affermativamente non sapendo però che i dati li avevi prelevati prima del suo ultimo salvataggio. In questo caso l'errore è stato tuo. La terza è che avete fatto casino entrambi e i sistemisti erano ubriachi.”

Anche mentre spiegava questo rimaneva calmissima, come se si trattasse di un problema da niente.
Io tenevo lo sguardo fisso su di lei, mentre con la coda dell'occhio notavo che Sonia mi guardava quasi implorante, controllando a sua volta con la coda dell'occhio che Katya non la stesse guardando.

Le gambe di Sonia - Capitolo 1: La riunione (parte 5)

Era tutto strano, e poi stava succedendo tutto così in fretta, anche la telefonata era stata rapidissima.
Sonia non era mia amica, avevo poco da guadagnarci e molto da perderci. E poi... potevo fidarmi?
Non era una decisione semplice da prendere e c'erano anche altre cose da valutare: se rifiutavo il favore a Sonia poi rischiavo di avere chiuse le porte di quello studio grafico per cui tanto mi sarebbe piaciuto lavorare. Sonia non aveva voluto lasciarlo intendere, ma era ovvio che come Michela avrebbe potuto farmi avere il posto, poteva anche negarmelo per ripicca. Inoltre, se la riunione delle dieci non avesse chiarito come erano andate le cose, ci sarebbe stata probabilmente una specie di indagine aziendale, che era sempre una cosa rognosa, e non era esclusa una conclusione a giustizia sommaria in cui ci avrebbero rimesso un po' tutti.
Rifiutare la proposta di Sonia non garantiva un lieto fine, ma nemmeno accettarla dava garanzie che tutto finisse bene, anzi garantiva comunque qualche guaio per me in azienda. E poi c'era Tanya.

Tanya era la ragazza con cui convivevo da un anno. Ci avevo messo un po' a convincerla ad andare a vivere insieme. Nessun problema sentimentale, ma le mie ambizioni creative gettavano ai suoi occhi qualche ombra sulla mia affidabilità economica. Il solito cliché. Non è che fossi uno che voleva vivere di arte, però era capitato che lasciassi qualche posto di lavoro perché sentivo la mia creatività troppo soffocata. Questo le faceva un po' paura, e le cose erano cambiate quando riuscii a farmi assumere per questa grossa multinazionale. Per lei era stata la prova che avevo la testa sulle spalle, e se fossi stato licenziato in quel modo, sapendo che io e Sonia non eravamo certo grandi amici, rischiavo che si mettesse in testa che avevo colto la palla al balzo per lasciare un lavoro che non mi piaceva troppo. Già non era stato facile farle accettare che stavo facendo dei nuovi colloqui per degli studi grafici e che avrei guadagnato di meno; ma il fatto che comunque non avevo grosse prospettive di carriera in quel ruolo, mentre in uno studio grafico avrei potuto fare esperienza per progetti più remunerativi era riuscito a controbilanciare le cose. Rischiare il posto in questo modo però avrebbe potuto incrinare questo equilibrio.

Tuttavia avere la strada in discesa nel mio prossimo colloquio non era una brutta prospettiva, ed eventualmente avrei potuto provare anche a tirare un po' sullo stipendio per avere già in partenza qualcosa in più di quello che mi avrebbero proposto all'inizio.

La sigaretta era finita, e io mene tornai verso il mio ufficio. Sonia era sulla porta ad aspettarmi, aveva l'aria impaziente ed era tornata la Sonia che conoscevo: impaurita, insicura, nervosa. Mi era sembrato troppo strana infatti la simpatica sicurezza che aveva ostentato pochi minuti prima. Per una cosa del genere, con quello che c'era in ballo, me la sarei aspettata più facilmente in lacrime a dirmi che se non l'aiutavo per lei era la fine, che era sola, che ero l'unico che potevo aiutarla e che il lavoro per lei era tutto.

E in effetti il lavoro per lei era tutto, o quasi. Nella sua vita c'erano giusto due gatti e un flauto che suonava accompagnando un coro amatoriale. Aveva avuto qualche uomo, ma si era trattato più che altro di qualche disperato che dopo un po' si era tirato indietro.

Era di nuovo la solita Sonia, la sua insicurezza metteva ansia soltanto a vederla, tanto da far venire voglia che esplodesse all'istante; esprimeva a tal punto un senso di consapevole debolezza che avrebbe fatto venire a chiunque il desiderio di trattarla male, ma allo stesso tempo sembrava che anche un solo sospiro di fastidio avrebbe potuto ucciderla.

“Scusa è che mi chiedevo... ti ho detto vero che fra due settimane discutono la mia promozione? Sai, ecco... non ero sicura di avertelo detto...”
“Sì”, la interruppi alzando gli occhi al cielo, “me lo hai detto della promozione, e ti ho detto che ci penserò. E per pensarci ho bisogno di starmene un po' da solo.”
“Sì, sì, scusa, era solo che non ero sicura di averti detto... e poi... sei l'unico che può aiutarmi...”
“Ok, ok”, la rassicurai, “ma ora, davvero, fammici pensare un po' da solo, ok?”
“Sì, sì, scusami, ma pensaci davvero...”

Uscì dal mio ufficio dopo essere tornata la solita Sonia, e io mi sedetti alla scrivania facendo quello che mi aiutava meglio a trovare le soluzioni quando non sapevo che scelta prendere: fare altro mentre ascoltavo musica. Così mi misi a lavorare.
Le 9:30 arrivarono in fretta, io mi aspettavo di vedere da un momento all'altro Sonia ripiombare nel mio ufficio o tempestarmi di telefonate, quindi decisi di andare a prendere un caffè' alle macchinette, fumare una sigaretta in giardino, e poi recarmi direttamente al quarto piano dove si sarebbe svolta la riunione.

Le gambe di Sonia - Capitolo 1: La riunione (parte 4)

Mentre Sonia mi aggiornava su tutto questo il computer si era avviato e avevo letto il memo aziendale che informava della riunione con una delle vicepresidenti per le 10:00 della mattina stessa. Mentre io la guardavo perplesso per quello che mi stava chiedendo, Sonia continuava a dirmi sorridendo che era la soluzione migliore per tutti: in fondo lei era a due passi da una promozione, mentre io stavo comunque già cercando un altro lavoro.

Che io stessi cercando un altro lavoro era vero. Avevo già' superato due colloqui per un posto in un importante studio grafico che mi avrebbe fatto guadagnare un po' di meno all'inizio, ma che di contro avrebbe gratificato molto di più le mie ambizioni in campo creativo.

Sonia intanto si era seduta di fronte alla mia scrivania; teneva le gambe accavallate, la destra sulla sinistra, col piede rivolto verso il basso. Non aveva i piedi piccoli, e il collo del piede tenuto in quel modo dava sembrava allungare le sue gambe che effettivamente non erano niente male.

“Quindi ecco”, concluse dopo avermi spiegato il guaio, “se ti prendi tu la colpa non ci rimetti molto, io invece son a un passo dalla promozione...”

Io la ascoltavo chiedendomi da cosa presumesse che io volessi farle un favore del genere e rischiare di perdere il posto di lavoro. “Avrò anche superato già due colloqui e mi manca solo il terzo finale”, obiettai con una punta di sarcasmo, “ma non credo che essere licenziato per un errore del genere giovi al mio curriculum. E comunque, anche se ci conosciamo fin da ragazzini, in tutta franchezza non c'è fra di noi questa grande amicizia da giustificare un favore del genere, scusa se te lo dico.”

“Non sono ancora arrivata alla fine”, aggiunse senza scomporsi. Aveva in faccia lo stesso insensato sorriso con cui era entrata nel mio ufficio, e mi chiedevo cosa mai di buono potesse aggiungere alla sua farneticante richiesta di favore.

“Cosa avresti da aggiungere?”, le chiesi col tono di voce di chi non si aspetta nulla di interessante.
“5000 euro in caso tu venissi licenziato, e... Michela!”
Sorrise soddisfatta mentre pronunciava il nome Michela, e mi guardò come se io dovessi intuire qualcosa. A me quel nome però sembrava non dire nulla, quindi continuai a guardarla come se non mi stesse dicendo nulla di interessante.

“Michela”, riprese Sonia, “è la ragazza con cui dovrai fare il colloquio finale in quello studio grafico che ti interessa tanto... ed è mia cugina”, concluse lasciandomi intuire che avrei avuto un trattamento privilegiato. Si trattava dunque di perdere un lavoro in cambio della quasi certezza di un altro lavoro, che per me era migliore, ma che probabilmente sarei riuscito ad avere egualmente con le mie forze. Inoltre un licenziamento sarebbe stato comunque una macchia sul mio curriculum, e siccome nella vita non si sa mai... ecco, non è che comunque mi garbasse molto questo tipo di scambio. E poi chi mi assicurava che tale Michela fosse davvero cugina di Sonia e che, anche quando, fosse davvero disposta a favorirmi nel colloquio finale?
Esposi queste mie perplessità a Sonia, la quale mi propose di chiamare lo studio grafico, chiedere di Michela e lasciare che ci parlasse. Benché fossi ancora perplesso e molto poco convinto, chiamai lo studio grafico, chiesi di Michela e feci parlare Sonia, in viva voce.
Sonia nel frattempo si era alzata e mentre componevo il numero si era seduta sulla mia scrivania, accavallando le gambe. Ciò mi lasciò sempre più perplesso, aveva quasi l'aria di chi si sentiva sexy e usava il suo fascino su di me, ma ai miei occhi era tutto a metà fra il ridicolo e il fuori luogo.

“Ciao Michela, sono Sonia.”
“Ciao Sonia, sei lì con lui?”
“Sì, è qui: siamo in viva voce.”
“Ok, ascolta, non posso mettertelo nero su bianco, ovvio, ma se tu fai quel favore lì a mia cugina... il posto è praticamente tuo. Ora scappo che ho una riunione, in bocca al lupo per la vostra.”

Fu molto breve la telefonata, ma esauriente.
Io rimanevo comunque perplesso, stava succedendo tutto in poco tempo e in realtà, a parte la sostanza della situazione, l'idea di fare un favore a Sonia quasi mi infastidiva. O meglio, mi infastidiva il suo sorriso, quella sua aria da “amichevole complicità” come se facesse leva su un livello di confidenza fra me e lei che esisteva solo nella sua testa.
Mi alzai dalla scrivania, volevo allontanarmi anche fisicamente da lei, e le dissi che ci avrei pensato; in fondo la riunione era per le 10:00 e c'era ancora più di un'ora. Avevo bisogno di ragionarci su, anche perché comunque non era una decisione da poco.

“Ok!”, sorrise, “ti chiamo per le 9:30!”

Uscì dal mio ufficio tutto contenta, come se fosse sicura di avermi convinto.
Io presi l'accendino e le sigarette dal cassetto della scrivania e uscii in giardino per fumarci su.

Le gambe di Sonia - Capitolo 1: La riunione (parte 3)

Mentre Sonia mi aggiornava su tutto questo il computer si era avviato e avevo letto il memo aziendale che informava della riunione con una delle vicepresidenti per le 10:00 della mattina stessa. Mentre io la guardavo perplesso per quello che mi stava chiedendo, Sonia continuava a dirmi sorridendo che era la soluzione migliore per tutti: in fondo lei era a due passi da una promozione, mentre io stavo comunque già cercando un altro lavoro.

Che io stessi cercando un altro lavoro era vero. Avevo già' superato due colloqui per un posto in un importante studio grafico che mi avrebbe fatto guadagnare un po' di meno all'inizio, ma che di contro avrebbe gratificato molto di più le mie ambizioni in campo creativo.

Sonia intanto si era seduta di fronte alla mia scrivania; teneva le gambe accavallate, la destra sulla sinistra, col piede rivolto verso il basso. Non aveva i piedi piccoli, e il collo del piede tenuto in quel modo dava sembrava allungare le sue gambe che effettivamente non erano niente male.

“Quindi ecco”, concluse dopo avermi spiegato il guaio, “se ti prendi tu la colpa non ci rimetti molto, io invece son a un passo dalla promozione...”

Io la ascoltavo chiedendomi da cosa presumesse che io volessi farle un favore del genere e rischiare di perdere il posto di lavoro. “Avrò anche superato già due colloqui e mi manca solo il terzo finale”, obiettai con una punta di sarcasmo, “ma non credo che essere licenziato per un errore del genere giovi al mio curriculum. E comunque, anche se ci conosciamo fin da ragazzini, in tutta franchezza non c'è fra di noi questa grande amicizia da giustificare un favore del genere, scusa se te lo dico.”

“Non sono ancora arrivata alla fine”, aggiunse senza scomporsi. Aveva in faccia lo stesso insensato sorriso con cui era entrata nel mio ufficio, e mi chiedevo cosa mai di buono potesse aggiungere alla sua farneticante richiesta di favore.

“Cosa avresti da aggiungere?”, le chiesi col tono di voce di chi non si aspetta nulla di interessante.
“5000 euro in caso tu venissi licenziato, e... Michela!”
Sorrise soddisfatta mentre pronunciava il nome Michela, e mi guardò come se io dovessi intuire qualcosa. A me quel nome però sembrava non dire nulla, quindi continuai a guardarla come se non mi stesse dicendo nulla di interessante.

“Michela”, riprese Sonia, “è la ragazza con cui dovrai fare il colloquio finale in quello studio grafico che ti interessa tanto... ed è mia cugina”, concluse lasciandomi intuire che avrei avuto un trattamento privilegiato. Si trattava dunque di perdere un lavoro in cambio della quasi certezza di un altro lavoro, che per me era migliore, ma che probabilmente sarei riuscito ad avere egualmente con le mie forze. Inoltre un licenziamento sarebbe stato comunque una macchia sul mio curriculum, e siccome nella vita non si sa mai... ecco, non è che comunque mi garbasse molto questo tipo di scambio. E poi chi mi assicurava che tale Michela fosse davvero cugina di Sonia e che, anche quando, fosse davvero disposta a favorirmi nel colloquio finale?
Esposi queste mie perplessità a Sonia, la quale mi propose di chiamare lo studio grafico, chiedere di Michela e lasciare che ci parlasse. Benché fossi ancora perplesso e molto poco convinto, chiamai lo studio grafico, chiesi di Michela e feci parlare Sonia, in viva voce.
Sonia nel frattempo si era alzata e mentre componevo il numero si era seduta sulla mia scrivania, accavallando le gambe. Ciò mi lasciò sempre più perplesso, aveva quasi l'aria di chi si sentiva sexy e usava il suo fascino su di me, ma ai miei occhi era tutto a metà fra il ridicolo e il fuori luogo.

“Ciao Michela, sono Sonia.”
“Ciao Sonia, sei lì con lui?”
“Sì, è qui: siamo in viva voce.”
“Ok, ascolta, non posso mettertelo nero su bianco, ovvio, ma se tu fai quel favore lì a mia cugina... il posto è praticamente tuo. Ora scappo che ho una riunione, in bocca al lupo per la vostra.”

Fu molto breve la telefonata, ma esauriente.
Io rimanevo comunque perplesso, stava succedendo tutto in poco tempo e in realtà, a parte la sostanza della situazione, l'idea di fare un favore a Sonia quasi mi infastidiva. O meglio, mi infastidiva il suo sorriso, quella sua aria da “amichevole complicità” come se facesse leva su un livello di confidenza fra me e lei che esisteva solo nella sua testa.
Mi alzai dalla scrivania, volevo allontanarmi anche fisicamente da lei, e le dissi che ci avrei pensato; in fondo la riunione era per le 10:00 e c'era ancora più di un'ora. Avevo bisogno di ragionarci su, anche perché comunque non era una decisione da poco.

“Ok!”, sorrise, “ti chiamo per le 9:30!”

Uscì dal mio ufficio tutto contenta, come se fosse sicura di avermi convinto.
Io presi l'accendino e le sigarette dal cassetto della scrivania e uscii in giardino per fumarci su.

Le gambe di Sonia - Capitolo 1: La riunione (parte 2)

Erano le 8:32 del mattino, io mi ero appena seduto alla mia scrivania nell'ufficio che condividevo con un collaboratore esterno che attaccava alle dieci e il computer si stava giusto avviando. Sonia entrò con quel suo solito sorriso di chi crede di dire qualcosa di simpatico senza rendersi conto non c'è nulla di simpatico in ciò che ha da dire. Indossava un maglione nero a collo alto, piuttosto elegante, una collana con un pendaglio che sembrava avere qualche valore, una gonna nera lucida, calze nere e scarpe nere a punta arrotondata, simili a delle ballerine ma con un tacco largo alto non più di tre dita. Indosso a un'altra persona avrei detto che aveva scelto un abbigliamento educatamente sexy, sembrava essersi messa a posto per una riunione importante; riunione di cui a breve avrei conosciuto l'esistenza.

Entrò tutta trafelata chiudendo la porta dietro di sé, e appunto mi chiese di farle un favore.

“Dimmi”, le risposi con la noncuranza di chi non vuole sembrare troppo infastidito. Del resto iniziare la giornata lavorativa con una collega non troppo simpatica, che crede che tu sia suo amico, che ti piomba nell'ufficio chiedendoti un favore, prima ancora che il tuo computer si sia avviato, non è il migliore dei modi.

“Devi coprirmi alla riunione di oggi”, mi disse sorridendo come se mi stesse chiedendo di passarle una penna.
“Coprirti in che senso? E poi... che riunione?”, non sapevo infatti di nessuna riunione.
“Sai le presentazioni per le aziende di febbraio? Quelle con il 20/70?”

20/70 era il nome che utilizzavamo in azienda come abbreviativo del nome di un prodotto. Non scenderò in dettagli sempre per questioni di riservatezza, però posso dire che era il prodotto di punta che proponevamo ai nostri clienti per la campagna primaverile. Le presentazioni le avevo preparate io con i dati presi da un database in cui lei aveva inserito i vari dati tecnici.
Il problema nasceva dal fatto che su quel database erano presenti anche i dati di prodotti già testati ma che non sarebbero stati immessi sul mercato prima di due anni.
Si trattava di uno dei segreti di pulcinella del settore, e non solo del nostro. Sia noi che i nostri competitors eravamo già avanti nella ricerca, ma mettevamo in commercio prodotti intermedi giocando sul fatto che, quando avremmo messo in commercio i prodotti più performanti, parte dei clienti avrebbe acquistato il nuovo prodotto per tenersi in pari con i relativi competitors anche senza aver ancora smaltito le scorte del vecchio prodotto meno performante, generando per noi un surplus di introiti di almeno il dieci percento. In più, così facendo, anche i nostri partner strategici che producevano macchinari per industrie, potevano fare lo stesso gioco. E, aggiungendo che in alcuni casi la multinazionale per cui lavoravo aveva anche delle quote nelle società partner, il surplus di fatturato passava dal 10% al 15% circa.

Per farla breve: Sonia aveva fatto un errore nel salvataggio dei file, per cui i dati che io avevo inserito nelle presentazioni erano quelli dei prodotti non ancora commercializzati, dati che erano già stati caricati sul database perché venivano utilizzati nelle presentazioni interne e con i partner strategici. L'errore era stato suo, non mio. Io avevo preso infatti i file giusti, ma in quei file c'erano i dati sbagliati. In più, per una sfortunata coincidenza, il mio supervisore era assente nella settimana in cui erano state inviate le presentazioni ai clienti, e mi aveva lasciato la responsabilità del controllo finale. Era evidente che mio compito, non essendo un chimico, fosse quello di verificare che i file da cui avevo preso i dati erano quelli stabiliti nel briefing della settimana precedente, dopo aver chiesto a Sonia se i dati, al momento in cui li prelevavo dai file, erano quelli corretti. Lei mi aveva dato l'ok, fidandosi di se stessa.

I clienti avevano quindi ricevuto la presentazione di un prodotto che ancora non era pronto, ma a quel punto potevano iniziare a fare pressione perché' il prodotto entrasse in commercio prima della data prevista dalla società. Il problema in sé poteva anche essere arginabile, se non fosse per l'esistenza di un altro segreto di pulcinella: ovvero sia noi che i nostri competitors facevamo lo stesso gioco, più o meno di comune accordo. Quando però iniziò a girare voce che noi avremmo messo il nuovo prodotto in commercio prima del previsto, i vari competitors annunciarono prodotti simili un anno prima del previsto. Questo significava danno economico più incidente diplomatico con i competitors.

In seno all'azienda... questo significava che qualche testa sarebbe saltata.
La riunione di cui parlava Sonia era appunto la riunione per ricostruire quello che era successo e capire chi avesse sbagliato e dove. Ciò significava che la testa che rischiava di saltare per prima era quella di Sonia, più qualcun'altra in aggiunta in caso di giustizia sommaria.

Le gambe di Sonia - Capitolo 1: La riunione (parte 1)

Sonia non era bella. Capelli castano chiaro, tendente al biondo, ma senza lucentezza, un ovale piccolo e schiacciato ai poli, due guance troppo prominenti per quell'ovale e un mento troppo stretto e sporgente per quelle guance. Non aveva occhi interessanti, non aveva una bella pelle.
Aveva i seni grossi e un fisico che avrebbe anche potuto essere definito statuario se non fosse stato per i fianchi troppo grossi e l'andatura troppo sporgente in avanti. Non aveva belle mani, e probabilmente nemmeno dei bei piedi, visto che d'estate non indossava mai scarpe aperte.
Aveva pero' delle belle gambe, questo bisognava riconoscerglielo. Forse un po' troppo grosse per i gusti di alcuni, ma decisamente interessanti secondo i gusti di altri.

Sonia sapeva di avere delle belle gambe, e lo si vedeva da come non perdesse occasione di metterle in mostra. Sostanzialmente sia d'inverno che in primavera si presentava al lavoro con gonne una spanna sopra il ginocchio e collant blu scuro o nero, mai troppo trasparenti.
I suoi seni, come detto, erano abbondanti, ma non doveva considerarli molto belli, visto che era pressoché impossibile vederla con una scollatura; maglioni a collo alto d'inverno, camicette sempre abbottonatissime in primavera ed estate.

Sonia non era bella; non era nemmeno troppo brutta, a voler essere sinceri, ma il suo modo di camminare, la sua totale insicurezza, e la capacità di dire spesso cose fuori luogo credendo di essere simpatica, la rendevano il tipo di ragazza con cui anche a 20 anni ti saresti vergognato di uscire.

Io e Sonia ci conoscevamo fin da ragazzini, cresciuti nello stesso condominio di periferia avevamo frequentato anche lo stesso liceo, ma non nella stessa sezione. Non eravamo mai stati molto amici, ed anzi lei aveva avuto una specie di cotta per me verso i quindici anni; ma ho sempre pensato fosse qualcosa dovuto al fatto che, semplicemente per mia indole, ero una delle pochissime persone dell'intero quartiere a non prenderla continuamente in giro (anche se poi devo ammettere che qualche risata, quando da ragazzini si inizia a prendere di mira qualcuno, me l'ero fatta anche io).

Del resto, oltre ad avere un'aria da ragazza perennemente out, un po' secchiona e incapace di farsi rispettare, aveva un modo di cercare di essere simpatica che diventava irritante, poiché nel cercare di far vedere che aveva anche delle qualità, finiva per avere quell'atteggiamento da prima della classe che in realtà le attirava ancor più antipatie. E se questo era stato vero nella vita di tutti i giorni e a scuola, ancor più lo era sul posto di lavoro dove finiva per sembrare che volesse screditare i propri colleghi.

Avevamo ventinove anni quando ci ritrovammo a lavorare per una grossa multinazionale, di cui non farò nome per questioni di riservatezza. Lei era laureata in Chimica e aveva un ruolo non di poco conto nel settore Ricerca e Sviluppo, io mi occupavo di grafica e multimedia nel dipartimento Marketing. Capitava spesso di lavorare a contatto. Io infatti mi occupavo di preparare brochure e presentazioni multimediali per i clienti, e lei spesso supervisionava i dati e i testi tecnici.
Per lei quel lavoro era molto soddisfacente; non dico che il sogno di tutti i chimici della zona fosse quello di lavorare per quella multinazionale, ma quasi. Per me invece era sicuramente gratificante, soprattutto economicamente, ma non era certo il massimo: potevo esprimere la mia professionalità, ma di certo non potevo dare sfogo alla mia creatività.

Ad ogni modo, quando fui assunto, cioè' due anni prima dell'inizio di questa storia, si erano replicate le dinamiche dell'adolescenza, ossia io che mi limitavo a non trattarla male come gli altri e lei che pensava fossimo amici. Pensai infatti che fosse per via di questo equivoco che quel giorno si presentò nel mio ufficio con una singolare richiesta.

“Devo chiederti favore, un grosso favore”, furono le sue parole.